Motobi Sprite 200: l’elegante Folletto “corsaiolo”
La MotoBi, fondata nell’immediato dopoguerra, fu subito apprezzata per la qualità dei materiali e per le proprie ed originali particolarità, quali: il cilindro orizzontale ed il carter di forma ovoidale, montati a sbalzo su di un robusto telaio monotrave in lamiera stampata. Nel 1949, Giuseppe Benelli abbandonò la Casa motociclistica a cui diede il nome, per iniziare una nuova attività: la FAMOSA (acronimo di Fabbrica Auto e Motoveicoli Officine Strada Adriatica).
Un pò di storia…
Le MotoBi quattro tempi monocilindriche sono state progettate successivamente alle due tempi bicilindriche Spring Lasting 200 e 250 cc e vengono ricordate quali motoleggere affidabili e veloci. La prima, l’Imperiale 125 cc, fu presentata al Salone di Milano nel 1955. Nel 1959 il Nuovo Codice della strada non favorì il mercato delle motoleggere e la concorrenza era ingente, tanto da indurre la Montgomery Work, noto importatore Usa, a bloccare il contratto con la MotoBi. Nel Novembre 1962 la MotoBi e la Benelli si fusero in un unico Gruppo industriale. La prima, a differenza della seconda, continuò a produrre motocicli validi ed innovativi. Nello stesso anno, fu presentato al pubblico uno dei modelli più sportivi e significativi della Casa pesarese, che si aggiunse alla gamma Benelli-MotoBi; è dotato di un motore monocilindrico quattro tempi dalla classica foggia ovoidale: la MotoBi Sprite 200 cc, una motocicletta elegante, ma grintosa. Nata qualche anno dopo l’Imperiale Sport, dalla quale palesemente deriva, riesce a sfruttare la risonanza dei successi ottenuti nelle competizioni, tanto da far aumentare la domanda, sia del mercato italiano, che di quello statunitense. Il nome è anglosassone: Sprite vuol dire letteralmente folletto. La firma di tale progetto è di Piero Prampolini, il quale ideò precedentemente anche il miniscooter Picnic 125, la MotoBi Imperiale Sport 125 e la Catria 175.
Tecnica e prestazioni
La Sprite regala prestazioni briose e di tutto rispetto, con il suo serbatoio dalla linea filante ed ancorato al suo telaio monotrave in lamiera stampata d’acciaio, irrobustito nella parte superiore tramite l’inserimento di una costolatura, per donare alla moto stabilità e tenuta di strada ottimali. Il propulsore, appeso a sbalzo sul telaio è il 4 tempi ovoidale con distribuzione a valvole in testa ad aste e bilancieri; la cilindrata esatta è di 197,9 cc ed eroga 14 CV a 8.500 giri, per una velocità di 130 km/h. Il carburatore è un Dell’Orto con diffusore da 22 mm; l’accensione è assicurata da un volano-magnete. Il cambio, a 4 marce, è mosso da un comando a bilanciere, la cui corsa è limitata, vista la lunghezza notevole del braccio di leva; i rapporti sono ben armonizzati con la sua indole grintosa: la prima e la seconda sono lunghe. La forcella è una Ceriani teleidraulica e la sospensione posteriore è dotata di due ammortizzatori idraulici a molla esterna cromata, fissati ad un forcellone oscillante, con possibilità di precarico su tre posizioni, sempre di marca Ceriani. I freni sono entrambi a tamburo centrale: l’anteriore è dotato di feritoie che servono per raffreddarlo; la frenata è buona anche alle andature più sostenute.
I semimanubri, regolabili quanto ad ampiezza, sono i classici delle moto da competizione, la sella è sottile e comoda viaggiando soli, ma piccola per due persone; il devio luci, nel quale è incorporato anche il bottone del clacson, è sito sul semimanubrio di sinistra, mentre le leve della frizione e del freno anteriore, dritte e distanti dalle manopole, non sono funzionali. In particolare la prima risulta dura, ed utilizzandola frequentemente finisce per stancare la mano del pilota; è perfettamente regolare l’innesto della frizione, tanto che si può fare a meno di usare la leva quando si cambia marcia dalle più basse alle più alte.
Il faro è tondo con cornice cromata e, sulla sua superficie superiore, si trovano il deviatore principale delle luci ed alla sua destra il foro per la chiave del contatto elettrico; il contachilometri è posto nel faro e ben visibile anche di notte. Il serbatoio è dotato di due rubinetti, uno per lato: tenendo chiuso uno dei due si ha una riserva di 2 litri circa. Le fiancatine, a forma di uovo, celano gli attrezzi in dotazione e proteggono la batteria.
Guida e consumi
La posizione di guida è sportiva: il centauro è chinato con il busto verso il serbatoio, con le braccia tese e le ginocchia inserite nelle svasature laterali; le vibrazioni sono poche e la silenziosità discreta; non perde facilmente olio ed il minimo è regolare. Risulta godibile sia in città che nel traffico extra-urbano, dove si richiedono scatti per poter sorpassare in tutta sicurezza. È stabile per via del suo baricentro molto basso, per le ruote da 18″, per il ridotto interasse e per la forma del propulsore. I suoi consumi sono esigui: ad un’andatura di circa 100 km/h ed in città, con un uso prevalente di marce basse, si possono percorrere 25 chilometri con un litro di benzina. Fu costruita per tre anni; le unità vendute furono circa mille, tutte bicolore: nere e bianche oppure rosso scuro e grigio argento, comprensive di quelle esportate e commercializzate negli Stati Uniti d’America; queste ultime si distinguono facilmente per il manubrio rialzato e largo. Nel 1966 furono prodotte le ultime 200 cc, proprio quando la Casa marchigiana decise di presentare una versione maggiorata, portando la Sprite a 250 cc, alla potenza di 14 CV a 7.500 giri e cambio a 5 rapporti, per una velocità massima di 140 km/h. La Sprite oggi rimane una motocicletta molto ambita e ricercata, proprio per la sua estrema rarità.
Articolo tratto da Omnimoto.it